Il tema delle gare automobilistiche non mi ha mai affascinato ed escludendo Mario Kart, fatico davvero a seguire un intero Gran Premio. Mia mamma tuttavia è un’appassionata incredibile. Indipendentemente da dove si tenga la corsa e dai fusi orari è disposta a fare carte false pur di seguire i piloti dal primo all’ultimo giro. Questo aspetto del suo carattere mi ha sempre colpito e dopo aver visto i due film dei quali vorrei parlarvi in questo articolo, credo di aver capito il motivo.
Le Mans 66
James Mangold è un nome noto quando si tratta di adattare al contesto cinematografico storie vere o pseudo reali. Personalmente l’ho scoperto con Logan, il film che più di tutti racconta l’intimità di un supereroe, Wolverine, laddove il resto del mondo si concentra su scontri e tutine attillate. Altra grande prova è Walk the line, nella quale il regista ripercorre i momenti più caratteristici della vita dell’icona Johnny Cash!
Con lo stesso spirito, nel 2019, Mangold dirige i retroscena che hanno portato alla vittoria della scuderia Ford alla gara di Le Mans del 1966.
Ken Miles (Christian Bale) e Carroll Shelby (Matt Damon) sono due professionisti che hanno dedicato la vita alle automobili, il primo come meccanico, il secondo come pilota e imprenditore.
I due personaggi rappresentano il lato umano della storia, costantemente messo in secondo piano rispetto all’immagine che le compagnie Ford e Ferrari vogliono invece mostrare al grande pubblico.
Le Mans 66 descrive alla perfezione i due punti di vista diametralmente opposti del pensiero passionale ed economico senza apparentemente dare giudizi diretti ma limitandosi a interpretare gli avvenimenti. Lo spettatore viene coinvolto dall’inizio alla fine grazie alle inquadrature che inseguono la strada, curva dopo curva, in qualunque condizione meteorologica per restituire l’illusione di essere veramente a bordo di quella Ford GT40 lanciata a velocità folle sul circuito di una delle gare più estenuanti del pianeta.
Veloce come il vento
Giulia De Martino (Matilda De Angelis) è una ragazza di diciassette anni alla quale, invece di bambole e vestiti alla moda, i genitori regalano un’auto per correre nel Campionato Italiano GT.
Alla fine di una gara, il padre muore e lei si ritrova a badare da sola al fratellino più piccolo e a dover necessariamente vincere il campionato per rimborsare alcuni debiti per i quali è stata ipotecata la casa di famiglia.
Come se non bastasse il fratello maggiore tossicodipendente Loris (Stefano Accorsi), fa ritorno a casa dopo che il padre lo aveva cacciato anni prima, riprendendo possesso dei propri spazi.
Queste sono le premesse di una storia vera che segue due vie parallele: nella prima i protagonisti abbracciano il pericolo della velocità per trasformarlo in uno stile di vita in cui ogni vittoria è un gradino in più sulla scala del riscatto personale. La seconda è un continuo e inesorabile pugno nello stomaco alla protagonista che non può fare altro se non cadere e rialzarsi, zoppicando finché un improbabile fratello maggiore si dimostrerà tale riunendo i pezzi di una famiglia in grado di correre veloce come il vento.
Prima ancora de Il primo re, Romulus e della recente Incredibile storia dell’Isola delle Rose, Matteo Rovere dimostra le proprie qualità registiche in questo film che sottolinea a chiunque se lo fosse dimenticato le capacità del cinema italiano di impressionare e raccontare storie.
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