Wander Allen

L'opinione che non ha la presunzione di essere giusta

Home » Hopper in camera oscura

Hopper in camera oscura

Condividi

Hopper è uno dei titoli più in vista della mia libreria. Mentre sfogliavo le opere dell’artista statunitense mi sono chiesto in che modo avrebbero potuto influenzare l’ambito fotografico. Le prossime righe sono il fil rouge di un’intricata matassa che spero verrà sbrogliata. Ma andiamo con ordine.

Edward Hopper in breve

Alla fine dell’Ottocento una coppia di negozianti della contea di Rockland (New York) nota la spiccata dote artistica del figlio e decide di incentivarla. Il piccolo Edward entra in contatto con la rappresentazione realistica del quotidiano e approfondisce la semantica della luce e la sua capacità di soppesare l’immagine. Durante un viaggio a Parigi recupera la passione infantile ritraendo le imbarcazioni lungo la Senna e trovando ispirazione dalle situazioni comuni che la città è in grado di evocare.

Hopper - Morning sun
Hopper – Morning Sun (1952)

Oltre alla Francia Hopper visita altri paesi europei tra cui Spagna e Inghilterra dove applica gli studi sul binomio luce ombra al voyeurismo di Degas. Da quest’ultimo apprende il fascino della grottesca concretezza insita nella staticità dei soggetti rispetto al movimento e alle pose ideali. Tornato negli Stati Uniti mescola emozioni e realismo applicando colori brillanti a situazioni diametralmente opposte di depressione e tristezza. Il significato della sua opera non si trova nella tela bensì in ciò che sta al di là: l’invisibile orizzonte metafisico presente nelle dimensioni di attesa e staticità a cui guardano i soggetti.

La composizione fotografica di Hopper

La macchina fotografica di Hopper avrebbe impostato tempi di scatto molto lenti per creare le lunghe esposizioni in grado di ritrarre sensazioni di inquietudine, attesa e silenzio nei soggetti che laddove presenti risultato incapaci di comunicare. I suoi scatti sono l’immagine di un’America di inizio Novecento che sta abbandonando la dimensione onirica alla ricerca di risposte sul senso della vita e dell’esistenza. Le luci al neon, le ombre e i contrasti elevati creano vedute realisticamente artificiali nelle quali i soggetti sono consapevoli di non avere futuro e lo cercano oltre i confini della tela.

Gregory Crewdson e la staged photography

Gregory Crewdson appartiene alla wave della staged photography preferendo la creazione del contesto sotto forma di messa in scena alla rappresentazione fedele della realtà. Gli esponenti di tale corrente non aspettano il verificarsi dell’azione ma dispongono ogni elemento al fine di creare la corretta atmosfera in virtù dell’emozione immaginata. In particolare Crewson esaspera il concetto di normalità lavorando sulla sospensione di tempo e spazio esaltando i colori alla ricerca dell’elemento surreale e onirico.

Gregory Crewdson, Woman at Sink (2014)
Gregory Crewdson – Woman at Sink (2014)

Nei suoi single-frame movies mostra zone anonime che attraverso l’intervento dell’artista su elementi fisici come segnali stradali, luci e colori diventando veri e propri racconti. La cura nelle geometrie e la consapevolezza delle regole cinematografiche contribuiscono a rendere le immagini fortemente impattanti nello spettatore. L’ispirazione a Hopper è evidente nel contrasto tra la vivacità dei luoghi e il senso di smarrimento dei soggetti ritratti che portano alla riflessione psicologica sulla condizione umana. Ogni scatto indaga il meccanismo che trasforma l’essere umano da spettatore a protagonista della propria vita.

Crewson, Hopper e David Lynch

L’aspetto psicoanalitico dell’opera di Crewson richiama non solo la pittura di Hopper ma anche la macchina da presa di David Lynch. Dietro ad ogni possibile significato infatti pare celarsi un’altra storia come se il fotografo non fosse realmente interessato al delitto di Laura Palmer ma lo sfruttasse per condurre lo spettatore sempre più a fondo nella tana del Bianconiglio riscoprendo concetti di bellezza, misticismo e inconscio attraverso un’opera surreale e onirica che mette in mostra il proprio significato e non necessita di ulteriori spiegazioni.

Le Hopper meditation di Richard Tuschman

Classe 1956 Richard Tuschman è attratto dall’aspetto malinconico dell’arte. Nel 2010 esterna questa caratteristica nella serie Still Life Montage unendo in un connubio onirico il tratto paradigmatico del dipinto alle forme contemporanee del digitale. Successivamente vira verso il realismo di figure femminili in luoghi agresti riportando alla mente le illustrazioni post-illuministiche di stampo romantico. L’equilibrio costante tra classico e moderno diventa la chiave di volta nello stile di Tuschman che si realizza nella costruzione di piccole miniature da lui fotografate per poi essere assemblate con figure umane su sfondo neutro in quello che a tutti gli effetti è possibile definire collage digitale.

Richard Tuschman Woman at a window
Richard Tuschman – Woman at a window (2013)

Le Hopper Meditations’ vengono presentate nel 2019 come omaggio alla pittura del maestro di Rockland. Attraverso la cura maniacale dei dettagli Tuschman riproduce in scala ridotta le tele di Hopper in modo da esaltarne le atmosfere e il concetto di sospensione spazio temporale. Ad esse applica luci e composizione fotografica per ottenere immagini da post-produrre secondo l’idea iniziale. I soggetti presenti sulla scena non vengono danneggiati dall’apporto tecnologico che invece si prende cura della loro natura intima e profonda senza disturbare la contemplazione di un mondo privato e personale che lo spettatore non è in grado di vedere. 

Luca Campigotto ci porta a Gotham City

Il veneziano Luca Campigotto focalizza la propria ricerca artistica sul tema del viaggio adattando palette cromatiche e punti di vista a metropoli come New York e Il Cairo. Lo spettatore tuttavia non vede grattacieli e dettagli ormai culturalmente condivisi bensì dimensioni oniriche ed emotive del luogo ritratto fondati sulla ricerca di una storia intima e personale che solo lui è in grado di scrivere. Ecco allora che Chicago diventa la Gotham City dell’uomo pipistrello e la Grande Mela attenua la luminosità su atmosfere artificiali, edifici ormai esausti e anonimi cartelloni pubblicitari. L’elemento umano è invisibile perché è compito dello spettatore riempire quel vuoto apparente.

Luca Campigotto - Gotham City
Luca Campigotto – Gotham City (2012)

Molto spesso Campigotto sceglie la notte per realizzare i propri scatti per accentuare il piano del silenzio, l’estetica del vuoto che perde potenza durante le ore diurne a causa del rumore caotico della routine. L’oscurità permette allo spettatore di manifestarsi all’interno delle opere senza vincoli o morale vagabondando in modo errabondo e indiscriminato ed entrando intimamente in contatto con la propria narrazione nella città ritratta.

Campigotto condivide con Hopper l’approccio lento e meditativo che rilancia la dimensione metafisica. L’elemento umano è sostituito da quello architettonico che attraverso geometrie, colori e prospettive restituisce una visione surreale composta da un estremo senso di statico dinamismo.

Arnaud Montagard e la Beat Generation

Dare un significato univoco al termine beat è pressoché impossibile soprattutto se associato all’ambito fotografico. A livello culturale nel periodo in cui venne coniato aveva il sapore amaro della sconfitta, dell’abbattimento e delle schiaccianti imposizioni sociali sulle persone nel secondo dopoguerra americano. Gli anni Cinquanta tuttavia sono anche il palcoscenico di Kerouac, Ginsberg, Borroughs, Ferlinghetti e del sobrio Bukowski. Il loro beat rappresenta il battito del cuore di una ribellione beata che tende le mani alla libertà abbracciando un’esistenza alla scoperta dell’io pellegrino sulla strada. Il lato dionisiaco emerge dai bassifondi jazz che dissentono in modo frenetico, sconsiderato e prepotente con la dimensione canonicamente imposta.

Arnaud Montagard American Diners
Arnaud Montagard – American Diners (2012)

Americano d’adozione il francese Arnaud Montagard si trasferisce a Brooklyn per sperimentare sulla propria pelle la portata artistica degli autori appena citati. Il suo stile nostalgico restituisce immagini semplici di un mondo che esiste solo nella memoria dell’uomo che ha vissuto come presente ciò che ormai è affidato alla pellicola. I colori e le inquadrature collaborano alla creazione di un immaginario pop collettivo e condiviso dallo spettatore che non può esimersi dal percepire l’amore dell’artista nei confronti del paese che lo aveva ispirato. Hopper rivive nell’estremo realismo con cui Montagard espone le sue visioni soggettivamente edulcorate ma ben fissate al concetto di strada che ha reso popolare la generazione errante degli anni Cinquanta.

La consapevolezza artistica di Franco Fontana

Franco Fontana incontra la fotografia verso la fine degli anni Sessanta mosso da pura curiosità infantile e dall’entusiasmo che col tempo gli ha permesso di elaborare il tratto distintivo del suo lavoro. L’arte del maestro modenese è metafora del proprio io pertanto necessita di un approfondito studio interiore per esprimere un punto di vista identitario riconoscibile e comprensibile agli altri.

Io oggi vado a trovare e non più a cercare […] quando faccio una fotografia so quello che faccio in maniera consapevole.

Franco Fontana

L’influenza di Hopper si denota dagli sfondi colorati all’interno dei quali sono disperse anime solitarie interrotte da skyline malinconici che generano un senso alieno di straniamento. L’America per Fontana è la parabola di un sogno irraggiungibile agli occhi di un bambino che maturando diventa interpretazione soggettiva del paesaggio urbano attraverso l’uso consapevole di luci, colori, geometrie e prospettive. Ciò che lo spettatore vede guardando il connubio tra collage e polaroid è la trasformazione dell’iconografia classica statunitense nella realtà ideale del fotografo, una sintetica mescolanza narrativa della metafisica di Hopper, della pop art di Warhol e dei poetici concetti Beat.

Franco Fontana - Houston (1985)
Franco Fontana – Houston (1985)

Al di là

La scrittura di questo articolo ha seguito una strada diversa rispetto al solito. Normalmente posta una domanda inizia la fase di ricerca che disegna il percorso logico per unire i puntini sulla lavagna. Stavolta gran parte del lavoro mi è stato servito su un piatto d’argento perché qualche anno fa molti degli autori citati hanno partecipato ad un’esposizione collettiva ispirata al maestro del realismo americano. Il mio compito è diventato quindi tradurre e approfondire i vari trafiletti all’interno di una trama che evidenziasse i tratti distintivi dello stile comunicativo di Hopper avvicinando quanto basta il lettore al lato metafisico così da prenderne spunto. Nella speranza di esserci riuscito brindo ai nottambuli.


Prima di salutarvi, vi ricordo di seguirmi anche su Instagram e di iscrivervi gratuitamente al gruppo Telegram per restare sempre aggiornati sulle ultime novità!


Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto
error: Content is protected !!