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Cucina tra realtà e intrattenimento

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Giorni fa ho inaspettatamente incontrato un mio capocuoco dei tempi andati. È nata così l’idea di un articolo che parlasse di come la cucina sia entrata nell’immaginario collettivo grazie a film e serie TV ma soprattutto del messaggio che spesso si nasconde tra le righe o meglio, tra i pixels dello schermo! Cominciamo? Sì chef!

Una cosa che sanno tutti

Se gli ospiti di un ristorante vedessero realmente quanto accade in cucina probabilmente si alzerebbero senza assaggiare nemmeno i grissini (confezionati). L’approccio televisivo restituisce una versione spesso edulcorata e romanzata della realtà.

Escludendo strutture di alto prestigio l’obiettivo in media è mantenere l’ordine e seguire le norme principali nel migliore dei modi consentiti dalla situazione.

Cinquanta coperti per un menù à la carte significa un gran numero di combinazioni sulle comande che rende un lusso perfino respirare tra primo e dessert.

Il fu Gordon Ramsay

La prima volta che vidi Hell’s Kitchen lavoravo già come aiuto cuoco per alcuni ristoranti. Notai che le persone erano attratte dal carisma e dall’eccentricità di Gordon Ramsay e trascuravano l’aspetto culinario. Cucine da incubo e Master Chef seguirono il trend ingigantendo l’illusione mediatica secondo la quale chiunque può cucinare e ambire perciò a diventare influente a livello culturale e politico.

Le iscrizioni agli istituti alberghieri sono impennate fino al 2015 quando la realtà ha sfondato la quarta parete mostrando gli aspetti taciuti della vita in cucina come i ritmi di lavoro e la retribuzione non sempre adeguata.

Turn over

Da un paio d’anni la strada dei contenuti incentrati sulla ristorazione è giunta a un bivio. Personaggi eccentrici e ricette esotiche continuano a trainare la maggior parte dei programmi d’intrattenimento ma non è raro trovare film e serie TV in grado di ragionare sugli aspetti socio culturali dell’hospitality in generale. I titoli proposti seguono quest’ultimo incipit.

Pig – Il piano di Rob

La trama potrebbe ricordare John Wick. Rob (Nicolas Cage) è un eremita che ha scelto di vivere nei boschi dell’Oregon. Un giorno un gruppo di uomini lo attacca e rapisce il suo maiale da tartufo, unico compagno di vita dopo la morte della moglie.

Cucina Pig Nicolas Cage
Nicolas Cage interpreta Rob in Pig

Da questo espediente narrativo si snoda l’intera vicenda che porterà Rob alla ricerca dell’animale. Per farlo sarà costretto ad abbandonare la tranquillità della vita selvaggia ritornando al mondo degli uomini.

Una nuova forma di thriller

L’esordio alla regia di Michael Sarnoski incuriosisce lo spettatore quanto basta attraverso gli stilemi del classico revenge movie alla Kill Bill per trattare invece tematiche più profonde.

Rob non intraprende un’avventura on the road a fini distruttivi. Al contrario vuole ritrovare il compagno di vita a cui vuole bene e che gli è stato portato via.

La violenza aleggia implicitamente su ogni scena senza tuttavia manifestarsi mai. Al contrario viene smorzata evidenziando il significato metatestuale della pellicola incentrato sulla ricerca di realtà e sulla raffinata bellezza primordiale.

Il thriller si trasforma in un viaggio sensoriale. In modo analogo a Captain Fantastic Rob mostra l’atto amorevole dell’uomo nei confronti della cucina nella dimensione della riscoperta del sapore e delle materie prime utilizzate.

A livello tecnico vanno sottolineate la fotografia di Patrick Scola e le musiche di Alexis Grapsas e Philip Klein che insieme a montaggio e riprese donano la giusta drammaticità a una sceneggiatura apparentemente bizzarra che invece si dimostra profonda e brillante.

Rob VS Andy Warhol

La recitazione di Nicolas Cage diventa il veicolo per la critica del regista verso il capitalistico modello americano che preferisce la quantità e la velocità alla qualità del cibo. Rob si rifiuta di entrare nei fast food perché nella sua visione serialità e riproducibilità annientano la ricerca della genuinità presente nel singolo piatto confezionato con cura e considerazione degli ingredienti.

Andy Warhol
Andy Warhol – Campbell’s Soup Cans – 1962

Allo stesso tempo però si scaglia contro l’immagine del cuoco come moderno Re Mida capace di trasformare in oro qualsiasi preparazione rendendo esclusiva l’esperienza e la cultura del cibo che invece dovrebbero mantenersi materia condivisa.

Il protagonista è nauseato dalla condizione sociale degli esseri umani e decide di isolarsi nella foresta recuperando l’indole selvatica. Da questo deriva l’affetto per l’animale. Rob denigra la dimensione della star, del cuoco stellato, perché svia l’attenzione dall’autenticità della vita e dalla forma primordiale della passione culinaria.

Una scena su tutte

Rob si presenta in un ristorante per trovare informazioni e viene messo alla prova. Invece di cucinare un piatto estremamente ricercato la sua ricetta si limita a una portata semplice e quasi grezza. Eppure la reazione del cuoco/assaggiatore diventa metafora dell’intero sottotesto cinematografico ovvero l’abbattimento della rigidità militare e l’apparenza sistemica.

The Menu

Nella sceneggiatura di Seth Reiss e Will Tracy dodici persone vengono invitate all’esclusivo ristorante Hawthorn dove chef Slowik (Ralph Fiennes) li renderà attori di una vera e propria esperienza culinaria portandoli a scoprire nuovi significati del termine assaporare. Tuttavia a causa di un’imprevisto un’ospite viene sostituita da Margot (Anya Taylor-Joy) come accompagnatrice dell’ambizioso e a tratti fanatico Tyler (Nicholas Hoult).

Cucina The Menu Ralph Fiennes
Ralph Fiennes interpreta Chef Julian Slowik in The Menu

I personaggi vengono svelati lentamente attraverso un montaggio che si sposta continuamente tra i tavoli lasciando appena percepire i dialoghi. Fotografia e musiche aiutano a creare tensione per un thriller a tinte horror che in realtà ridicolizza l’eccesso di serietà, rigore e sacrifico dei ristoranti d’élite capaci di rendere la ristorazione un lusso destinato esclusivamente a esperti e privilegiati.

Il pane senza pane

I personaggi sono postulanti in cerca di approvazione: arrivisti e infedeli nascondono il volto dietro  una maschera di ricchezza e privilegio. Il regista Mark Mylod li distrugge nella scena significativa in cui viene servita una portata di pane senza pane per mostrare il tentativo affannoso dei critici e degli estimatori dell’alta cucina di trovare inutilmente l’arrosto quando è evidente si tratti solamente di fumo.

Cucina The Menu Pane senza pane
La portata del pane senza pane in The Menu

The Menu rievoca la crociata di Rob in Pig sulla nascita di ristoranti dove l’apparenza ha scalzato il concetto di arte culinaria trasformandola in un artificio snob.

Margot VS Slowik

Margot è la richiesta fuori menù che trasmette allo spettatore una lucida interpretazione degli eventi narrati grazie allo status di imbucata disinteressata e lamentevole.

Nasce così un gioco a due tra lei e Slovik che porterà quest’ultimo a riconoscere l’effimera e pretenziosa natura della sua arte e a scendere dal piedistallo della superstar per riallacciarsi alla realtà. I racconti dei membri della brigata di soldatini pronti a scattare a ogni battito di mani dello chef portano a galla lati oscuri della vita sull’isola come soprusi e violenze.

L’arte è tale se viene compresa: agli indecifrabili significati dei fittizi piatti dai nomi altisonanti Margot preferisce un classico ma reale cheeseburger da dieci dollari. Mangiandolo restituisce allo chef ciò che nessun altro commensale è stato in grado di dargli: gratitudine.

Slovik apre gli occhi sulla finzione che ha creato attorno a sé ricordando le proprie origini e la felicità di cucinare cibo semplice, sobrio e modesto accessibile a tutti.

Cucina The Menu Cheeseburger
Anya Taylor-Joy interpreta Margot in The Menu

L’esplosivo finale sottolinea la futile credenza per cui l’esperienza culinaria si leghi alla spesa eccessiva contrapponendola a coloro che attraverso un panino da asporto addentano la vita senza sprecarne neanche un boccone.

The bear

Il dessert è riservato alla serie TV creata da Christopher Storer che sfrutta una trama semplice per riflettere su emotività, lavoro e performance in modo realistico e quotidiano.

Carmen Carmy Berzatto (Jeremy Allen White) è un cuoco famoso a livello mondiale che dopo la morte del fratello Michael (Jon Bernthal) abbandona l’olimpo dei ristoranti stellati per digerire la paninoteca di famiglia The Original Beef of Chicagoland aiutato dalla sous-chef Sydney (Ayo Edebiri) e dall’improbabile e disorganizzata brigata di cucina ormai affezionata al locale.

Cosa c’entra l’orso

L’orso non è importante. Accanto ai risvolti psicologici legati alla vita del protagonista che prova a elaborare il lutto ricercando nuovi significati tra i ricordi di un tempo The Bear stupisce per la cruda intensità con cui mette in scena la frenesia psicofisica della vita dietro ai fornelli.

Attraverso un impianto registico e di scrittura notevoli la serie decide di parlare in modo realistico dei lati meno brillanti del lavoro: problemi economici, comunicazione inefficace e discontinua, turni massacranti e ambizioni negate.

The original beef of chicagoland
The original beef of chicagoland

The Original Beef of Chicagoland è apparentemente il locale peggiore a cui inviare un curriculum eppure nessuno getta la spugna. L’esperienza del protagonista unita alla creatività di Sydney e alla dimensione familiare degli altri membri della brigata creano una componente genuina apprezzata dalla clientela affezionata. Il lato positivo esiste ma come nella realtà viene costantemente sommerso da iperadrenalinità, nervosismo e caos prodotti dai ritmi della ristorazione che tende al costante incremento delle performance restringendo gli addetti ai lavori a una dimensione insonne, unta, disordinata e claustrofobica che prima o poi li porta a pagarne il conto.

Cucina The Bear
Jeremy Allen White interpreta Carmy in The Bear

The Bear sembra privilegiare la forma del reale alla gradevolezza della narrazione. I frequenti piano sequenza, lo studio dei personaggi in costante ambiguità tra umanità ed efferatezza, i dialoghi taglienti e i retroscena conferiscono la giusta dose di dinamismo e tensione senza mai rischiare di eccedere e rendersi incredibile.

Mancia alla cameriera

Lavorare in cucina è un’ottima palestra perché insegna a ricoprire e mantenere il proprio ruolo all’interno di una squadra che persegue un obiettivo comune. Personalmente ho imparato a creare unicità in una dimensione collettiva adattandomi alle circostanze senza mai restare indietro.

La figura del cuoco recentemente ha subito una forte rivisitazione in funzione probabilmente di una maggiore attenzione mediatica volta al rilancio dell’italianità e del famigerato made in Italy. Tuttavia per me è diventata insipida e condivido il pensiero del mio vecchio capocuoco all’origine di questo lungo articolo. La gratificazione più sincera è dedicare l’esperienza culinaria ad amici e parenti, gli unici in grado di riconoscere la persona dietro al grembiule.


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