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Joker: e se fosse stato un altro?

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Venerdì, ore 18:00, spengo il computer ed esco dall’ufficio.

Il treno è stranamente in orario, mi siedo e inizio a leggere.

Arrivo a destinazione, prendo una bici per tornare a casa ma decido di fare l’ultimo tratto a piedi, ho bisogno di pensare.

Le strade brulicano di persone, ognuna ha una propria vita, uno scopo, ma è venerdì sera e sta iniziando il weekend, tutto perde importanza e le incombenze vengono posticipate.

Casa, ascensore, doccia, cena: mi allontano dal mondo, resto solo.

Scorrono i titoli di testa.

In una Gotham New York City degli anni Ottanta, un uomo si trucca da clown davanti allo specchio.

Con la strada come palcoscenico, balla goffamente mostrando un grande cartellone pubblicitario prima di essere aggredito da una gang di ragazzini che lo lascia mezzo morto in un vicolo.

Everything…
Must go!!

La giornata di Arthur Fleck inizia così e continua tra dolore e sconfitte: vive con la madre, sogna di fare cabaret, incontra metodicamente un’assistente sociale, soffre di depressione e di improvvisi e incontrollabili attacchi di risate.

Come se non bastasse, viene licenziato: è comprensibile che una persona simile trovi il sistema ingiusto.

Una sera, dopo essere stato picchiato per l’ennesima volta, uccide tre ragazzi facoltosi di Wall Street; primo gradino verso il baratro.

La discesa continua quando legge una lettera della madre, ormai malata, indirizzata al suo ex datore di lavoro, Thomas Wayne, nella quale scopre di essere probabilmente figlio del miliardario.

Arthur cerca risposte e finisce col naso rotto, il dubbio di essere stato adottato e la cartella clinica della madre sulla quale è riportata una diagnosi per gravi disturbi psichici e l’internamento ad Arkham: beata ignoranza!

Le uniche cose che lo separano dalla follia sono il Murray Franklin Live, un programma televisivo, e la vicina di casa con la quale inizia una relazione.

Tutto bello se non fosse che parte delle ultime due righe sono una proiezione mentale perché la donna amata non lo considera neanche per sbaglio.

Le vicende evolvono e la sua forma cambia, da complessato abitante di Gotham a contenitore del caos. Inizia a prendere coscienza che l’intero costrutto sociale sta bloccando il suo vero io e decide perciò di dar libero sfogo a quelle pulsioni interiori che per troppo tempo son rimaste assopite.

Ho sempre pensato che la mia vita fosse una tragedia,

Ma ora mi rendo conto che è una cazzo di commedia.

Qui il primo punto che non mi convince: l’aggressione sociale e l’idea del paladino che indossa una maschera non mi sembrano approfondite a dovere oltre ad avere quel sapore di già visto sia in V per Vendetta sia ne La casa de papel.

Il lato criminale del personaggio viene oscurato da quello eroistico in grado di attivare il cervello dello spettatore e lanciare input condivisi che lo portano a fare il tifo per il lato oscuro.

Il ceto medio basso vede nelle azioni di un uomo truccato da clown, una ribellione nei confronti dei ricchi, lo rende un simbolo, indossa la sua maschera e inizia a creare scompiglio con rivolte e sommosse.

Nel frattempo, incredibile ma vero, Arthur viene invitato al Murray Franklin Live e la recitazione di Joaquin Phoenix trasforma il personaggio da debole, costellato di turbe mentali e incertezze in qualcosa di nuovo, sicuro di se e fiero della propria condizione: davanti allo specchio, Arthur abbassa la testa e quando la rialza e guarda l’immagine riflessa, vede i capelli verde acido e la faccia bianca di Joker.

Per tutta la vita, non ho mai saputo se esistevo veramente. Ma io esisto. E le persone iniziano a notarlo.

Sempre a proposito dell’evoluzione del personaggio, è interessante la scena in cui svuota il frigorifero per chiudercisi dentro. Inizialmente non le avevo dato particolare importanza, pensavo infatti che fosse l’ennesima prova della malattia mentale di Arthur unita a una forte solitudine. Poi, ripensando al racconto delle percosse del padre e al fatto che, da bambino, veniva legato al calorifero…Eureka!

Paradossalmente, il freddo diventa la coperta calda che lo protegge, in antitesi alle alte temperature degli incubi infantili.

Un’altra immagine iconica della pellicola immortala il neonato Joker sulla scalinata: fin dai primi minuti, Arthur sale i gradini a fatica mentre il suo alter ego li percorre in discesa, danzando, come se non avesse peso: metafora della ritrovata leggerezza contrapposta alla pesantezza di un’esistenza da reietto.

Entrambi i concetti sono esaltati da un’ottima fotografia e dalla musica che talvolta diventa essa stessa un personaggio. Le forme di Arthur trovano infatti rifugio e conforto nella danza. La colonna sonora, partendo dal talento islandese della sperimentale Hildur Guðnadóttir (già nota per Chernobyl), passa da Sinatra a Fred Astaire, fino ad approdare al glam rock di Gary Glitter e ai Cream, accompagna la crescente follia di Arthur e delle sommosse cittadine con originalità e capacità evocative. 

Due finali paralleli

Il finale si muove su due linee parallele: da un lato si assiste allo show televisivo durante il quale Joker prima confessa gli omicidi spiegando le motivazioni che lo hanno indotto a compierli, poi uccide il conduttore e infine si concede un bagno di folla in quella che ormai è una Gotham City irriconoscibile e completamente invasa dal caos.

La gente si ribella, urla kill the rich e si getta contro ogni potere costituito, come polizia e forze dell’ordine.

Dall’altra parte invece, si assiste al famoso duplice omicidio dei coniugi Wayne nel vicolo dietro al teatro.

Interessante lettura che strizza l’occhio alla trilogia di Nolan nella quale l’uscita prematura dallo spettacolo era attribuita alla paura del giovane Bruce mentre qui è associata ai tumulti causati dalla folla e, per estensione, da Joker: chissà se cavalcheranno l’onda in un sequel, spero di no!

Il film scorre senza momenti morti, il personaggio interpretato da Phoenix è a tratti eccessivamente totalizzante e lo spettatore segue la storia della nascita di uno dei villain più famosi del mondo fumettistico americano secondo la visione del regista Todd Phillips.

Arthur diventa il simbolo inconsapevole del caos e sfrutta la situazione per fare del male dando vita alla sua nemesi, Batman, che invece sceglie di indossare il mantello.

La lettura di Phillips si aggiunge alle molte altre idee sulla nascita di Joker che nel corso degli anni si sono susseguite sul grande schermo, basti pensare alle interpretazioni di Jack Nicholson, del defunto Heath Ledger e via dicendo.

In questo caso, tuttavia, lo stato di malato vero e proprio del protagonista è messo in primo piano e diagnosticato a tutto tondo (il biglietto che mostra alla donna sul bus ne è la prova), per questo mi viene il dubbio che se non fosse stato Joker, probabilmente il film verrebbe letto in modo diverso.

Taxi Driver e Un giorno di ordinaria follia sono esempi chiari di come una persona normale, stanca del malessere quotidiano, decide di provare a cambiare le cose ricorrendo alla violenza e a misure estreme.

Secondo me Joker è questo e non fatico a vedere dei rimandi anche a Re per una notte, pellicola nella quale il protagonista, Rupert, è disposto a sequestrare il presentatore di uno show televisivo pur di ottenere le luci della ribalta.

Entrambi i comici verranno arrestati e, una volta tornati in libertà, si godranno la gloria che apparentemente gli spetta.

Rupert trascorre qualche anno in prigione mentre l’auto della polizia sulla quale viaggia Joker viene colpita e lui è tratto in salvo da alcuni suoi adepti.

Questo è il momento clou in cui il personaggio prende effettivamente coscienza degli effetti delle sue azioni e inizia a danzare tra le fiamme.

Secondo il mio punto di vista, tuttavia, la maschera che Arthur indossa non lo rende Joker perché da come viene raccontato, lui altri non è che un uomo psicologicamente instabile e malato, la cui condizione lo ha condotto sulla via della malvagità e della follia. La risata non è un tratto distintivo, come per il villain del Cavaliere Oscuro, ma un problema che tenta invano di sopprimere, mettendolo in situazioni di disagio e provocandogli dolore in tutti i sensi. Perfino mentre recita come stand up comedian in un locale scoppia a ridere in modo isterico; l’episodio gli conferirà notorietà nel modo sbagliato e sottolineerà nuovamente una patologica situazione di infermità e depressione.

I discorsi classisti e di attacco al potere non vengono contestualizzati abbastanza e restano sullo sfondo come se il regista avesse voluto lasciare un incipit per il futuro.

Personalmente considero il film ben girato, le performance attoriali sono magistrali e Joaquin Phoenix ha adattato la propria recitazione e trasformato il proprio corpo in maniera eccellente.

In generale, il prodotto Joker alza senza dubbio le aspettative e fa correre la gente in sala, ma chiedetevi questo, sareste andati lo stesso se il protagonista fosse stato una persona qualunque?


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