Wander Allen

L'opinione che non ha la presunzione di essere giusta

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A lezione da Steve McCurry

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Steve McCurry nasce nel 1950 a Philadelphia.

Si avvicina alla fotografia quando si iscrive alla Penn State per diventare regista e inizia a lavorare come reporter per il giornale dell’università.

Per mantenersi, svolge diversi lavori tra cui il cuoco che lo porta a spostarsi in continuazione in tutta Europa.

Proprio questo aspetto del viaggio fa nascere nel giovane Steve l’attrazione per la fotografia.

Nel 1978 compra duecento rullini e un biglietto di sola andata per l’India e, un anno dopo, nel 1979, entra clandestinamente in Afghanistan per accrescere il proprio bagaglio esperienziale e porre la prima pietra del percorso che seguirà poi per il resto della sua carriera.

Nel 1984 ritrae la ragazza afgana che l’anno successivo lo renderà celebre in tutto il mondo, diventando la copertina dell’edizione di Giugno del National Geographic.

McCurry si fa così conoscere e la sua fama da reporter di guerra gli conferisce un posto d’onore alla celebre Magnum Photos.

Il punto di vista

Ciò che colpisce nel modo di fotografare di McCurry è la decisione di non focalizzarsi sulla distruzione esteriore della guerra che intacca panorama ed edifici.

Al contrario, intraprende un vero e proprio cammino interiore e sfrutta il ritratto per dimostrare quanto i conflitti siano in grado di segnare il volto delle persone in modo permanente.

Se infatti una città, seppur con molte difficoltà, si può ricostruire, è un’impresa ardua recuperare uno sorriso o uno sguardo innocente una volta perduti.

La domanda che sorge spontanea davanti a uno dei suoi scatti in Afganistan è proprio come possano le persone continuare la propria esistenza dopo quello che hanno passato.

McCurry riesce a far dialogare lo spettatore con i suoi soggetti.

Sharbat Gula è una profuga eppure non è lei ad essere inerme bensì lo spettatore che viene colpito dallo sguardo diretto e perentorio della ragazza.

I profondi occhi verdi mostrano una forte consapevolezza di se: non vogliono nulla, non hanno bisogno di carità o comprensione e diventano il monito della condizione del Pakistan.

La scelta del colore

Al contrario delle convenzioni canoniche che imponevano al fotoreporter di scattare principalmente in bianco e nero, McCurry decide di raccontare il mondo a colori, utilizzando le famose pellicole Kodachrome che restituiscono una vividezza e un contrasto molto elevati, oltre a migliorare notevolmente il gioco di luci e ombre.

In una recente intervista, McCurry ha affermato che il mondo è a colori e lui, in quando testimone, ha deciso di ritrarlo così.

McCurry-Boy in mid flight
Credits: Steve McCurry – Boy in mid-flight – Jodhpur, India 2007

Boy in mid-flight

Il ragazzo a mezz’aria è una delle immagini più iconiche di McCurry non solo per il punto di vista che da sempre lo contraddistingue ma per la pazienza che ha accompagnato lo scatto.

Nel suo libro, Icons, racconta di come venne visivamente colpito dai graffiti presenti sul muro e dalla prospettiva della strada.

Era un’atmosfera perfetta per ritrarre la città blu dei bramini ma alla foto mancava ancora qualcosa.

Steve passa ore appostato finché in una frazione di secondo un bambino non lo supera correndo.

È il momento decisivo tanto caro a Cartier Bresson: le forme bloccate a mezz’aria, il contrasto cromatico e la vivacità dei colori hanno ora l’energia che da sempre caratterizza gli scatti del fotografo americano.

L’arte di aspettare

La lezione che si apprende da questa immagine è lo stretto legame tra fotografia e attesa.

McCurry sottolinea spesso l’importanza di non fermarsi alla superficie, entrando invece in contatto con ciò che si vuole raccontare perché solo così è possibile creare immagini ricche di significato.

La velocità con la quale viene impresso uno scatto è direttamente proporzionale a quella che lo rende dimenticabile

In un mondo vorace, che guarda alla quantità come unico modo per emergere dalla massa, con questa fotografia vi invito ad essere eversivi, andare controcorrente e rallentare, per recuperare i dettagli che altrimenti verrebbero inghiottiti dal fast forward quotidiano.

C’è qualcosa di magnifico nell’attesa, ed è la consapevolezza di ciò che si sta facendo che talvolta porta chi sta dietro all’obiettivo alla più grande contraddizione del suo essere: rinunciare allo scatto per memorizzare un istante e renderlo eterno.

Ogni foto senza attribuzione è di @wanderallen – Riproduzione vietata.


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