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The last of us – Una storia lunga oltre sessant’anni

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The last of us è a detta di molti una delle migliori serie televisive prodotte quest’anno. Tuttavia la forma episodica a cadenza settimanale ha portato gli spettatori alla ricerca di un modo per ingannare il tempo durante l’attesa del capitolo successivo.

Nel mio piccolo ho deciso di definire i punti chiave della narrazione e indagare sulle loro origini e derivazioni.

Non è stato facile tracciare un fil rouge perché la categorizzazione in film, libri e fumetti rendeva illeggibile la linea temporale. Perciò ho deciso di seguire l’ordine cronologico partendo all’incirca dagli anni Sessanta.

1961 – Un primo accenno con Kurosawa

Akira Kurosawa è tra i nomi più famosi del cinema giapponese potendo contare su titoli come I sette samurai (1954), Il piccolo uomo delle grandi pianure (1975) e Ran che nel 1985 lo candidò all’Oscar per la miglior regia.

La sfida del samurai (1961)
Kurosawa – La sfida del samurai (1961)

Nel 1961 esce La sfida del samurai. La trama ruota attorno a un uomo noto come Sanjuro che arrivato in un villaggio governato dai clan yakuza Seibei e Ushitora decide di portare pace a suon di spadate. A collegare la pellicola all’idea di The last of us è un dettaglio. Dopo la violenta battaglia contro gli Ushitora Sanjuro risparmia la vita di un giovane contadino che si era unito al clan sperando in un futuro di ricchezza e lo incoraggia a rivalutare le proprie priorità puntando piuttosto sulla umile longevità. Nel 1996 Walter Hill omaggerà Kurosawa girando Last man standing.

1968 – Western e morti viventi

All’interno del nostro ragionamento il 1968 è importante per due motivi. Da un lato per il romanzo di Charles Portis intitolato True grit (Il Grinta) e dall’altro per il film La notte dei morti viventi di George Romero.

La trama de Il Grinta è complicata perché attraverso un’apparente ripresa degli stilemi classici dell’epopea western indaga sul concetto di giustizia e mostra gli eventi dall’innovativa prospettiva di una ragazzina quattordicenne. Mattie Ross parte per un viaggio alla ricerca dell’uomo che ha ucciso suo padre accompagnata dall’agente Rooster Cogburn. Il rapporto tra i due prende sempre più spazio all’interno della narrazione fino a diventarne cardine. Inizialmente Mattie vede solo la parte burbera del carattere di Rooster e ne è disgustata. Il viaggio le mostrerà il lato umano esaltandone peraltro la professionalità sul campo. Contemporaneamente il Marshall più cattivo di tutti si renderà conto che dietro all’impertinenza e alle rigide morali presbiteriane e catechistiche la quattordicenne nasconde la tempra e la tenacia necessarie a sostenere le fatiche dell’impresa. È questo l’aspetto da tenere in considerazione quando si avvicina Il Grinta a The last of us.

Locandina del film Il Grinta di Henry Hathaway (1969)
Henry Hathaway – True Grit (1969)

Nel 1969 Henry Hathaway porterà il romanzo di Portis sul grande schermo facendo interpretare Mattie alla giovane Kim Darby e Rooster a John Wayne.

Romero invece introduce l’idea alla base della narrazione fondata sugli zombie: un morbo trasforma gli uomini in morti viventi stravolgendo la società e la vita quotidiana al punto da costringere l’umanità dapprima a fuggire dai predatori per poi organizzare, reagire e convivere con una nuova forma di normalità. Oltre a La notte dei morti viventi è bene citare La città verrà distrutta all’alba (1973) e Il giorno degli zombie (1985).

Il cinema romeriano apre le porte ai filoni successivi che porteranno Kirkman al successo di The walking dead. Nelle sue opere vengono reinterpretate la metafora del Frankenstein di Mary Shelley e la definizione di mostro tanto cara a Tiziano Sclavi per cui i veri mostri siamo noi. In un mondo dominato da zombie il pericolo più grande restano gli esseri umani che tra cannibalismo e potere continuano la propria corsa alla supremazia del prossimo.

1970 – Si torna in Giappone

L’anno successivo all’uscita del romanzo di Portis nel regno del Sol Levante vede la luce il fumetto scritto da Kazuo Koike e disegnato da Giseki Kojima intitolato Lone wolf and cub. Ogami Itto è un rinnegato che segue la via del Meifumado (strada dell’assassino) per vendicarsi della famiglia Yagyu. Insieme a lui, all’interno di un carretto destinato a diventare iconico, viaggia il figlio di tre anni Daigoro.

Lone wolf and cub (1970)
Itto e il piccolo Daigoro in una tavola di Lone wolf and cub

Il racconto episodico di Koike sfrutta il viaggio come pretesto per approfondire tematiche più ampie e profonde. Attraverso la riproposizione del Giappone feudale ad esempio vengono a galla rituali, gesti e contraddizioni alla base della società moderna.

Il cammino permette la riflessione su emozioni, desideri, paure e aspettative che compongono il senso della vita del lupo solitario fondato tuttavia sull’ossimoro di Itto per cui la libertà passa attraverso morte e distruzione.

Daigoro è il personaggio in balia degli eventi che ne comporranno il difficile percorso di crescita. Notevole l’incipit che porta Itto a portar con sé il figlio. Messo davanti a una palla e a una katana il piccolo sceglierà la seconda. Diversamente sarebbe stato ucciso dal padre perchè ritenuto troppo debole per il destino che li attendeva.

Daigoro ha spesso paura ma nei suoi occhi è evidente la fiducia smisurata nel padre diviso tra glaciale guerriero e genitore benevolo.

Lone wolf and cub introduce forse più di tutti l’idea di viaggio apocalittico alla ricerca di un destino di redenzione per i protagonisti che verrà ripresa in The last of us.

1983 – Frank Miller

Chris Claremont da appassionato di cultura e fumetti giapponesi conosce bene la storia di Lone wolf and cub e la racconta all’amico Frank Miller durante un viaggio in taxi per il Comic-Con di San Diego. Nel 1982 nasce così l’idea di una miniserie in quattro numeri incentrata sulla figura di Wolverine che dopo anni alla corte degli X-Men torna in Giappone alla ricerca dell’antico amore Mariko Yoshida. Inutile dire che la storia proseguirà tra azione, violenza, artigli e budella.

Miller è ormai attratto da ciò che ha imparato dall’amico e convince la Dark Horse a pubblicare l’edizione americana dell’opera di Koike realizzandone le copertine.

Frank Miller_Ronin (1983)
Frank Miller – Ronin (1983)

Il prodotto di questo viaggio culturale sarà Ronin: storia di un guerriero senza nome impegnato in una lotta secolare contro il demone mutaforma Agat. Dalle radici del Giappone feudale la vicenda si sposterà fino al futuro desolato dominato da corporazioni e intelligenze artificiali. Il più grande ringraziamento che The last of us deve allo scrittore de Il ritorno del cavaliere oscuro resta sicuramente l’aver fatto conoscere Lone wolf and cub agli Stati Uniti.

1998 – Max Allan Collins

Max Allan Collins è uno scrittore e sceneggiatore molto prolifico ricordato solitamente per essere succeduto a Chester Gould sulle strisce di Dick Tracy dopo il ritiro del creatore originale. A parte questo la graphic novel che lo ha reso famoso è Road to perdition (prima opera a fumetti a entrare nella lista dei best-seller del New York Times). Ancora una volta l’ispirazione più grande è Lone wolf and cub che qui si tinge delle derivazioni malavitose sulla scia de Il Padrino (1972). La storia infatti è ambientata negli anni della Grande Depressione americana. Il protagonista è il gangster Michael O’Sullivan che dopo essere stato tradito dai propri padroni è costretto a fuggire con il giovane figlio Michael Jr. mentre premedita la vendetta. Il carretto con cui Itto trasportava Daigoro si trasforma nel carrello nel quale viaggia il piccolo durante la fuga.

Road to perdition_1998
Dettaglio della copertina di Road to Perdition (1998)

Il cinema hollywoodiano e il Giappone dei manga intensificano i reciproci momenti di incontro. Nel 2002 Sam Mendes girerà l’adattamento alla graphic novel di Collins trasformandola nel film che da noi è uscito col titolo Era mio padre. Oltre al già citato Walter Hill nel 2010 sarà il turno del remake de Il Grinta ad opera dei fratelli Coen. Jean François Richet nel 2016 girerà Blood Father con protagonista Mel Gibson e infine sarà la volta del Logan di James Mangold nel 2017.

È facile notare il fil rouge che lega tutte queste sceneggiature: un padre violento con una serie di problemi alle spalle cerca la redenzione e contemporaneamente un futuro migliore per sé stesso e il proprio figlio. Restando nell’ambito fumettistico nel 2003 un giovane Robert Kirkman immaginerà una società alla deriva nel suo prolifico The walking dead destinato a continuare fino al 2019 diventando un fenomeno cult.

2006 – La strada di Cormac McCarthy

Cormac McCurthy è considerato da molti uno dei più influenti scrittori americani viventi ricordato per opere come la Trilogia della frontiera (1992) e Non è un paese per vecchi (2005 – da cui i Coen hanno tratto l’omonimo film). Nel 2006 con La strada firma il suo capolavoro. Padre e figlio, entrambi senza nome, viaggiano alla ricerca di cibo sullo sfondo di un mondo devastato da una non specificata apocalisse mantenendo un basso profilo per evitare l’incontro con altri esseri umani divenuti pericolosi alla maniera già citata da Romero.

La notte diventa metafora del loro incedere nelle tenebre di un futuro incerto. Il padre porta con sé una pistola con due colpi a simboleggiare il gesto estremo. Tuttavia il piccolo rifiuterà di tenerla rinnegando la paura e rivelandosi portatore di speranza in una vita migliore per entrambi.

John Hillcoat_The road (2009)
Una scena tratta dal film The road diretto da John Hillcoat (2009)

McCarthy influenza la narrativa moderna con un’opera fortemente evocativa e di grande impatto immaginifico. L’influenza di Lone wolf and cub in questo caso non è chiara in quanto lo scrittore di Providence non era incline alla lettura dei manga giapponesi. Tuttavia gli stilemi ritornano in continuazione: il cammino, il viaggio interiore e il carretto nel quale oltre a trasportare talvolta il figlio conserva viveri e indumenti.

Nel 2009 John Hillcoat dirigerà l’omonimo film con protagonista Viggo Mortesen. Rispetto al libro tralascia alcuni aspetti importanti ma traducendo il manoscritto esprime in forma visiva colori, abiti e dettagli che formeranno l’estetica alla base di The last of us insieme all’evoluzione del rapporto tra i personaggi che ricalca quello tra Mattie Ross e Rooster ne Il Grinta.

2018 – L’era di Pedro Pascal

Nel 2018 Zeek Earl e Chris Caldwell dirigono la pellicola fantascientifica The prospect con protagonista Pedro Pascal. La storia segue le vicende di Cee (Sophie Thatcher) una ragazzina  che insieme al padre Damon (Jay Duplass) viaggia a bordo di un’astronave rudimentale alla ricerca di gemme aliene di grande valore. La situazione si complica fino a precipitare dopo l’incontro con Ezra (Pedro Pascal) e il suo socio i quali tramano un furto a danno dei protagonisti. Nel tentativo di tornare a casa Cee ed Ezra saranno costretti a collaborare loro malgrado e mentre risolvono situazioni disperate nel tentativo di sopravvivere approfondiscono i rapporti personali dimostrandosi reciproca fiducia e rispetto.

Prospect_2018
Pedro Pascal e Sophie Thatcher in una scena del film Prospect (2018)

Da minatore mercenario Pascal nello stesso anno indossa l’elmo in beskar del cacciatore di taglie protagonista della serie The Mandalorian (2018) ideata da Jon Favreau. La ragazzina diventa un alieno verde dotato di poteri simili a quelli dei guerrieri Jedi ma la struttura resta invariata. Mando è un personaggio scorbutico che segue un codice morale ed etico ferreo al quale non può sottrarsi. Il carrello diventa una culla ipertecnologica che vola sullo sfondo dell’ormai famosa galassia lontana lontana. L’archetipo del ronin rinnegato e solitario in viaggio alla ricerca di un futuro migliore è il fil rouge attorno a questi titoli tra i quali rientra anche The last of us, adattamento al videogioco sviluppato nel 2013 da Naughty Dog e riproposto in forma seriale nel 2023 da Craig Mazin e Neil Druckmann.

Sessantadue e non sentirli

Dal 1961 al 2023 sono passati circa sessantadue anni ed è naturale chiedersi in che modo l’idea iniziale di Kurosawa sia riuscita a sopravvivere ampliando i contesti semantici e narrativi.

È indubbio che il mondo delle proprietà intellettuali stia vivendo un periodo di forte crisi creativa e spesso le proposte non raggiungono l’interesse degli spettatori. In passato la figura maschile era interpretata da personaggi virili in grado di mettere in scena una certa forma di machismo. L’eroe era invulnerabile e nulla poteva scalfire la corazza con la quale si ergeva a salvatore del mondo e protettore delle idee democratiche.

Nel mondo contemporaneo Superman non fa più notizia e per quanto resti un bel personaggio il lato super surclassa la dimensione dell’eroe. Pensandoci bene a Thor e Hulk il pubblico sembra preferire Captain America e Ironman.

Sanjuro, Rooster e Itto sono uomini semplici ai quali lo spettatore attribuisce valori comuni e riconoscibili. Essi sono in grado di comprendere e affrontare problemi e difficoltà della vita attraverso etica e morale più simili a quelle contemporanee che portano a una riflessione sul mondo e sulla società.

L’uomo inoltre si arricchisce della dimensione di padre, tutore e guida che rinuncia alla vita eremitica e scorbutica del passato per aprirsi a nuovi rapporti personali. In The last of us l’evoluzione di Joel (Pedro Pascal) nei confronti di Ellie (Bella Ramsey) dimostra come ogni uomo sia in grado di voltare pagina, crescere e far emergere il proprio lato migliore.


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