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L'opinione che non ha la presunzione di essere giusta

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Il freak tra Hugh Jackman e Diane Arbus

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Prima di cominciare questo articolo è doveroso fare una premessa.

Personalmente non amo il genere musical perché mi annoia quando i personaggi esprimono con lunghe canzoni concetti che invece richiederebbero poche parole.

Questo non significa che non abbia apprezzato pellicole come Mary Poppins o qualunque altra meravigliosa storia Disney ma preferisco evitare titoli in cui la narrazione è composta per la maggior parte da musica e danze.

Quando uscì il film The greatest showman diretto da Michael Gracey probabilmente lo inserii nella wishlist incuriosito dal cast capitanato da Hugh Jackman e Zendaya che ultimamente peraltro si trova anche nelle scatole dei cereali!

Un venerdì sera come tanti ma una sola volta l’anno

Come ogni venerdì sera, io e la mia ragazza stavamo sfogliando i cataloghi dei vari servizi di streaming per decidere il titolo che avrebbe accompagnato la cena.

In occasione del suo compleanno proposi sia il remake di Mary Poppins interpretata da Emily Blunt, sia appunto The greatest showman e, dopo una visione di entrambi i trailer, la scelta finì su quest’ultimo.

Il circo di P.T. Barnum

The greatest showman racconta il desiderio di un uomo di umili origini di entrare a far parte di una società che non lo ritiene all’altezza.

Per ottenere i riflettori, P.T. Barnum crea uno show nel quale la realtà viene alterata così da divertire lo spettatore.

Freak Barnum & Bailey
Credits: Strobridge Litho. Co., Cincinnati and New York

Giganti, nani, uomini dal corpo completamente ricoperto di tatuaggi, donne barbute, acrobati in grado di eseguire coreografie tanto eccitanti quanto pericolose, animali esotici, ognuno di essi attrae la società dell’epoca che tuttavia non li approva e di conseguenza li etichetta come freak non essendo disposta a inserirli nella definizione di bello.

Il primo approccio al termine freak

Al giorno d’oggi esistono molteplici declinazioni del termine freak ma all’epoca di Barnum indicava una persona dai tratti mostruosi o fuori luogo.

Nell’Ottocento i canoni di bellezza erano definiti in modo elitario all’interno dei salotti della nobiltà e bastava poco per uscire dal recinto.

Dall’altezza al colore della pelle, dalle scelte lessicali al portamento, tutto ciò che contribuiva alla realizzazione della propria immagine passava sotto l’attenta lente d’ingrandimento della censoria società dell’epoca che interpretava così il ruolo di giudice, giuria e boia.

Questione di contesto

In modo embrionale The greatest showman introduce un concetto che diventerà il cardine della questione da qui in avanti: il contesto.

Il freak è accettato esclusivamente come fenomeno di intrattenimento.

A tal proposito è significativa la scena in cui il gruppo non viene ammesso al ricevimento dopo lo spettacolo di musica lirica oppure quando è minacciato da una banda di teppisti fuori dallo stabile dove si è appena esibito.

L’identità del nano che interpreta Napoleone, la forza della donna barbuta e il coraggio dell’intera compagnia sono legati al contesto e ognuno di loro capisce che la propria unicità acquista valore solo durante lo show perché è lì che viene condivisa e comunemente accettata.

Un salto in avanti – New York 1923

Una trentina d’anni dopo la morte di Barnum, nasce a New York una ragazza di nome Diane Nemerov la quale dopo essersi sposata con Allan Arbus ne eredita il cognome e la passione per la fotografia.

Dopo un primo periodo idilliaco e l’idea di aprire uno studio insieme, i coniugi divorzieranno e Diane inizierà a frequentare l’Hubert’s Museum di Midtown affascinata dalle esibizioni di personaggi piuttosto bizzarri.

In quegli anni per le strade della Grande Mela passeggiano le versioni più giovani di Stanley Kubrick e Robert Frank e grazie all’affermazione di ambienti artistici sempre più eclettici e sperimentali, Diane entra in contatto con tutti loro e con Emile De Antonio.

Quest’ultimo mostra alla Arbus Freaks, la pellicola maledetta di Tob Browning.

Caposaldo del genere macabro al pari di The rocky horror picture show, il film venne fortemente criticato e l’uscita nelle sale costò al regista parecchi problemi e la possibilità di lavorare ancora nell’industria cinematografica (almeno nel primo periodo).

Le sensazioni che la pellicola provocava nello spettatore medio non erano legate alla trama o alla messa in scena bensì agli attori che erano in tutto e per tutto freaks e in quanto tali lo infastidivano.

Plot twist

La visione del film segna per molti il punto zero dal quale inizia l’affermazione stilistica della Arbus.

Ciò che rende speciale il suo modo di fotografare è la complicità che instaura con i freaks che ritrae.

Il risultato è volutamente provocatorio perché da un lato elimina dai soggetti qualunque orpello e abbellimento ritornando un’immagine che traduce le proprie ossessioni e perversioni e contemporaneamente li mostra nella loro intimità, in un contesto quindi nel quale risultano rilassati e a proprio agio.

She come to them

Come per la pellicola di Browning, lo spettatore rimane shockato davanti alle fotografie di transessuali, nani e via discorrendo perché il contesto che li circonda, proprio come il tendone di Barnum, funge da scudo rendendoli attori di un spettacolo che riscrive le regole del gioco e inverte le prospettive.

Freak by Diane Arbus
Credits: Diane Arbus

Per la prima volta l’osservatore si sente fuori luogo, in un contesto dove il freak è rappresentato da tutto ciò che socialmente viene definito normale. Si inverte il criterio percettivo permettendo al diverso di mostrare liberamente la propria essenza senza timore e ridefinendo il significato della parola bello.

Tutt’altro che una conclusione

Dopo aver visto The greatest showman sono rimasto stupito dell’accoglienza negativa che la critica gli ha riservato. Sicuramente non è un capolavoro ma rispetto ad altri titoli presentati come tale, l’ho trovato un buon prodotto di intrattenimento.

La personalità di Barnum viene edulcorata dall’interpretazione di Hugh Jackman che tuttavia a tratti fa comunque trasparire il carattere arrivista ed egoista del personaggio.

La trama è lineare e talvolta scontata ma la colonna sonora, in particolar modo le tracce eseguite dalla potente voce di Lettie Lutz interpretata da Keala Settle, mi ha fatto rivalutare un genere per me alieno.

Tra le righe

Ciò che forse ha sbilanciato il mio giudizio in favore del film è il ragionamento sulla figura del freak che ne è derivato. The greatest showman pone lo spettatore attento davanti a tematiche di uguaglianza e accettazione tutt’altro che dimenticate in una società come quella attuale in cui l’immagine ha un valore primario.

Il consenso è la moneta del regno che tutti ricercano in ogni forma possibile, disposti perfino a umiliarsi barattando unicità e punti di vista in funzione di ciò che comunemente viene definito apprezzabile.

La speranza alla fine di questa riflessione sta nel vedere ciò che un tempo rappresentava una nicchia ed era malvisto dalla quotidianità, trovare un terreno fertile nel quale piantare le radici, il giusto contesto di crescita ed evoluzione, sul quale lasciare una traccia tangibile del proprio passaggio in questo mondo contraddittorio che forse non ha ben chiaro cosa sia e cosa non sia bello!


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